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IL COLONNELLO CHABERT
(LE COLONEL CHABERT)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 20 marzo 1995
 
di Yves Angelo, con Gérard Depardieu, Fanny Ardant, Fabrice Luchini, André Dussolier, Claude Rich, Romane Bohringer (Francia, 1994)
 
Gérard Depardieu è il colonello Chabert
"Quella del colonnello Chabert è la storia di un uomo morto due volte.

La prima, sepolto sotto una massa di cadaveri e dato per scomparso alla battaglia di Eylau (1807), dopo che aveva procacciato la vittoria a Napoleone, alla testa di una celebre carica di cavalleria. La seconda, dieci anni dopo: quando, al termine di una lunga amnesia provocata dalle terribili ferite, ridotto in miseria e considerato pazzo, ritorna in Francia per far valere i propri diritti. C'è un giovane e curioso avvocato (Fabrice Luchini, al solito inimitabile) che gli crede, lo aiuta e ne sostiene la causa. Ma c'è soprattutto la moglie (Fanny Ardant) che, dopo aver ereditato la cospicua fortuna, si è risposata con un nobile rampante (André Dussolier): la perdita dei soldi equivarrebbe per lei, disprezzata poiché di origine bonapartista, alla rinuncia del proprio statuto sociale.

Dietro ogni risvolto della storia del povero colonnello c'è il genio corrosivo di Balzac: speculando sull'amore che Chabert continua a sentire per lei, sulla nobiltà d'animo del vecchio soldato, la contessa sta per ottenere che questi (in cambio di un boccone di pane) continui a passare per morto e non distrugga la sua "felicità" . È solo all'ultimo istante che il protagonista si renderà conto del mostruoso egoismo della donna (vittima a sua volta - ed è uno degli aspetti che il film tenta di sottolineare, nel suo sforzo di attualizzazione - della propria emarginazione sociale): ritirandosi di nuovo e disgustato dal mondo, lasciando all'avvocato, enigmatico demiurgo, il compito di regolare finalmente i conti.

"Esistono nella nostra società tre uomini, il prete, il medico e l'uomo di legge, che non possono stimare il mondo. Essi vanno vestiti di nero, forse perché portano il lutto di tutte le virtù e di tutte le illusioni", fa dire Balzac all'avvocato nel suo capolavoro: la difficoltà di tradurre in immagini la sconsolata ferocia balzachiana spiegano in parte le ragioni delle scarse fortune avute dal cinema nell'adattare le opere del grande scrittore francese.

Questa versione firmata da un direttore della fotografia alla sua prima opera registica ne è l'ennesima conferma. Yves Angelo non strafà nelle forma, come capita solitamente nei suoi casi: le luci sono soffuse per intimizzare il dramma, la decorazione d'epoca non è mai pretesto alla chincaglieria, le visioni della battaglia sono saggiamente tagliate in poche, essenziali sensazioni. Gli attori sono tra i più prestigiosi: anche se Depardieu veste questi suoi immensi personaggi con una intensità da manuale, ma che ci sorprende sempre meno. E se Fanny Ardant, tutta preoccupata a giustificare il proprio personaggio, finisce per rimpiazzarne l'ignominia con la vacuità. Salvaguardati da una scelta più che rispettosa dell'originale, i dialoghi ci ricordano ovviamente che non si dovrebbe affidare la nostra sopravvivenza ai soli videogame: ma la cadenza teatrale di molte scene arrischia spesso di confinarli in una certa convenzione.

È il solito litigio, insomma, della letteratura in cinema: perché no, ma a condizione che tra rispetto ed interpretazione si riesca a trovare un equivalente filmico. Nel caso de LE COLONEL CHABERT tutta la rabbia nei confronti di una violenza fisica che si moltiplica quando diventa sociale e morale stenta a trovare un contenitore adeguato: una struttura (si pensi a cosa ne avrebbe fatto un maestro del determinismo sociale come Kubrick; o anche soltanto un agrodolce fustigatore della meschinità umana, come il miglior Chabrol) che incanalasse tanta legittima indignazione.

Resta che il tono di questo film troppo rispettoso ed in definitiva impotente, ma pure tutto permeato di un suo melanconico pudore, di un desiderio di sconfinare nell' eterna ineluttabilità delle situazioni, finisce per lasciare un adeguato ricordo."


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